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LA FASCITE PLANTARE
Patologia frequente, che rappresenta circa il 10% delle patologie che interessano il piede, è una delle più comuni cause di dolore al tallone (calcagno).
Per fascite plantare si intende un processo infiammatorio e doloroso secondario alla retrazione della aponeurosi plantare superficiale (detta anche “legamento arcuato”), una robusta fascia fibrosa che decorre in avanti dalla zona mediale del calcagno sino ad arrivare alla base delle dita del piede ed ha il compito di mantenere l’arco plantare, cioè di sostenere il piede.
La fascia plantare è divisa in tre porzioni: mediana o centrale, interna e esterna. Tutte e tre partono dalla tuberosità calcaneare formando una lamina spessa madreperlacea a forma triangolare, con apice posteriore. Le aponeurosi plantari superficiali interna ed esterna si collegano con quella mediana, senza soluzione di continuità. La fascia plantare ha un ruolo fondamentale nella trasmissione delle forze e la sua visco-elasticità permette di restituire una grande quantità di energia a ogni falcata o a ogni salto grazie alle caratteristiche del tessuto, che risponde alle sollecitazioni attraverso una distensione elastica. Alla fascia plantare si collega senza soluzione di continuità la fascia dorsale del piede, da non trascurare in un eventuale protocollo di trattamento.
La fascite plantare è una patologia relativamente frequente; rappresenta circa il 10% delle patologie che interessano il piede, ed è una delle più comuni cause di dolore al tallone (calcagno), e predilige il sesso femminile. Il calcagno è l’osso più grande del piede, ed è anche quello maggiormente sollecitato. Pensiamo solo che, durante la deambulazione, il 50% del peso corporeo, in condizioni fisiologiche ottimali, si scarica su questo osso, il 30% sul primo metatarso, e il 20% sul quinto metatarso. Ma, durante la deambulazione, a ogni passo, la fascia plantare sopporta un carico pari a circa due volte il peso corporeo. È chiaro che, se ipersollecitata e alterata nella sua anatomia e fisiologia, facilmente diventa un sito elettivo di lesione.
Gli sportivi e la fascite
La fascite colpisce spesso gli sportivi che praticano discipline che comportano spinte e salti, o atleti che praticano sport in cui gli arti inferiori sono più sollecitati (maratoneti, giocatori di basket o danzatori); infatti modificazioni degenerative del legamento arcuato dovute a microtraumi ripetuti determinati da un’eccessiva sollecitazione (sovraccarico) della fascia plantare possono causare un’infiammazione dell’osso (periostite) da trazione e microlacerazioni della fascia stessa. Colpisce anche i soggetti affetti da obesità che scaricano il loro peso eccessivo su di una struttura che chiaramente non può supportarli.
Per quanto riguarda l’alterazione della biomeccanica, uno dei problemi principali è l’iperpronazione del collo piede e del piede durante la corsa, che ha un’azione di frustata sull’aponeurosi plantare, con conseguente infiammazione.
Non solo negli atleti, ma in chiunque può insorgere la fascite plantare, basta un appoggio errato dovuto ad una postura non corretta o una rigidità del tendine d’Achille o, ancora, malattie dismetaboliche, che possono favorire reazioni flogistiche locali, nonché provocare l’alterazione della composizione del normale tessuto tendineo. Spesso la causa è ancora più banale, semplicemente non si rispetta il carico fisiologico, e si tende a sovraccaricare la struttura anatomica. Oppure si utilizzano calzature non idonee su terreni non idonei. Da una statistica, su circa 200 casi, negli sportivi amatoriali, chi soffre di fascite plantare è in sovraccarico funzionale nel 87% dei casi.
Ma anche l’età dell’individuo può incidere in modo determinante: a parità di condizioni sono i soggetti con età superiore a 40 anni che corrono maggiori rischi, visto che l’invecchiamento del tessuto provoca un rallentamento metabolico del collagene tissutale con una diminuzione graduale del rapporto cellule-matrice e del contenuto idrico delle fibre elastiche, che svolge un’importante azione modulatrice ed ammortizzante nei confronti delle sollecitazioni meccaniche.
La fascite plantare si può manifestare a livello del calcagno, e viene in questo caso denominata fascite plantare prossimale o inserzionale, oppure a livello del mesopiede, in questo secondo caso viene denominata fascite plantare distale. In alcuni casi gravi può anche colpire la fascia (fascite anteriore) lungo tutto il suo decorso.
I sintomi e la cura
Il sintomo principale della fascite plantare è proprio il dolore, spesso più severo al risveglio e localizzato nella parte interna del tallone, in fase acuta. Nella fase successiva il dolore si sposta all’avampiede e viene avvertito in tutta la pianta del piede, andando ad inficiare persino la deambulazione. È solitamente una patologia reversibile che ha un decorso favorevole e, di solito, il paziente guarisce completamente dopo circa sei mesi/un anno di trattamenti fisioterapici o osteopatici; in caso contrario, l’infiammazione cronicizzerà e sarà necessario programmare un intervento chirurgico (release della fascia plantare).
In qualsiasi caso, trascurare la fascite plantare e continuare a correre può essere molto dannoso. Questa patologia non regredisce spontaneamente, e continuare a praticare l’attività sportiva può solo peggiorare la situazione.
La fascite plantare, quindi, si cura quasi sempre con il riposo, che deve essere assoluto e con applicazione di ghiaccio. Significa che bisogna astenersi dall’attività sportiva per periodi di tempo molto lunghi. Spesso, però, dopo un breve periodo di riposo, la sintomatologia sembra rientrare, e l’atleta è portato a riprendere la sua attività, sbagliando, perché dopo pochi allenamenti si ritorna al punto di partenza e le sollecitazioni meccaniche rievocano il dolore originario.
Gli esami diagnostici più immediati possono essere oltre all’anamnesi e all’esame obiettivo attraverso una visita specialistica attenta, anche un esame dell’appoggio del piede (baropodometria e stabilometria).Da un punto di vista strumentale, possono essere utili RX del piede sotto carico in proiezione antero-posteriore e laterale e l’ecografia per evidenziare l’eventuale irregolarità nella zona d’inserzione della fascia. La TAC è elettiva per una diagnosi differenziale rispetto all’ipotesi di fratture da stress. Nella scelta della modalità di trattamento, nessuna review ha individuato una terapia elettiva per la fascite plantare: nella pratica clinica, quindi, possiamo scegliere sulla base dell’esperienza, ma sempre sotto il controllo medico.
È opinione comune che il riposo assoluto sia fondamentale, ma anche l’applicazione di ghiaccio, stretching degli arti inferiori (entrambi), l’utilizzo di un plantare e di scarpe adeguate che possano favorire la riduzione del carico sull’aponeurosi plantare. Anche l’utilizzo del taping neuro muscolare, per dare sostegno e deviare le linee di carico, può dare un notevole aiuto in fase riabilitativa. Importante inoltre individuare e modificare eventuali squilibri posturali che hanno portato il sovraccarico funzionale di quell’arto dando così inizio alla sintomatologia. La localizzazione e il trattamento dei trigger point potrà essere un’ulteriore scelta di trattamento.
Il trattamento osteopatico risulta importantissimo in caso di fascite plantare, grazie alle tecniche manipolative specifiche, che ci aiutano a ridare la giusta mobilità alle ossa dell’arto interessato e ad allentare le tensioni muscolari della gamba e fasciali plantari e dorsali del piede. Nei casi più gravi, si utilizzeranno anche dei mezzi fisici quali le onde d’urto o ancora infiltrazioni locali, fino ad arrivare, nei casi gravissimi, all’intervento chirurgico.
Per ovviare a questa fastidiosa e molesta patologia basterebbe: curare in modo scrupoloso l’idratazione generale (specie in estate), visto che lo scorrimento del tendine dentro la propria guaina è fisiologico se l’idratazione è adeguata; utilizzare calzature adeguate e variare le superfici di allenamento; eseguire in modo regolare dopo ogni seduta d’allenamento lo stretching specifico per evitare tensioni eccessive; imparare a correre in maniera sana, naturale e senza traumi, cioè applicare uno schema motorio corretto e bilanciato, in una fase dinamica quale quella del running, ma soprattutto NON SOTTOVALUTARE I SINTOMI e ricorrere allo specialista per una diagnosi precoce.