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DELIBERA CONI E RIFORMA TERZO SETTORE:LE CONSEGUENZE PER LO SPORT ITALIANO

La modifica dell' elenco delle discipline sportive riconosciute dal CONI e l'approvazione dei decreti attuativi della riforma del terzo settore hanno effetti sui gestori degli impianti sportivi che meritano di essere presi in esame.

Il 14 maggio scorso sono accaduti due avvenimenti le cui conseguenze ricadono sui gestori degi impianti sportivi. La prima è l' approvazione, da parte del nuovo Consiglio Nazionale del Coni, della delibera 1569/17 che modifica ulteriormente l' elenco delle discipline sportive riconosciute dell' ente ai fini della loro iscrivibilità al registro delle associazioni e società sportive dilettantistiche  ( che ricordiamo è condizione necessaria e presupposta per poter poi godere delle agevolazioni fiscali relative ) introducendo, nell' ambito della cultura fisica, tra le attività riconducibili alle Federazione Italiana Pesistica, anche il fitness. La seconda è l' approvazione, da parte del Consiglio dei ministri, dei tre decreti delegati attuativi della riforma del terzo settore.

Le delibere CONI

E' già partita la corsa ad attaccare il proprio cappello, sulla base dell' effettiva attività svolta all' interno dei propri impianti, ad una o più delle 385 discipline previste dalla delibera Coni citata in premessa. Credo che sia un errore fondamentale il ritenere che, tanto, vi è la possibilità di farvi rientrare tutto. Non sono di questo avviso. L' indicazione che ne deriva è chiaramente tesa a far sì che la disciplina agevolata prevista per le sportive sia la più circoscritta possibile. In particolare appaiono principalmente “sacrificate”, le società di capitali e le cooperative sportive dilettantistiche.

Tanto che, in alcuni casi, potrebbe essere rimessa in discussione la scelta operata di costituirsi in una delle forme previste dal quinto libro del codice civile. Esaminiamo,pertanto, quali saranno le novità per le sportive che avessero scelto questo forma costitutiva. Ovviamente nessuna conseguenza ci sarà in capo a chi pratica esclusivamente attività sportive espressamente rientrati tra quelle indicate nell' elenco  allegato alla delibera citata. Il problema riguarderà, invece, quelle che svolgono solo o anche attività non ricomprese ( ad esempio discipline olistiche).

Nel primo caso la fattispecie è semplice. La società sportiva dilettantistica che svolge solo attività non più rientrante tra quelle riconosciute come tali dal Coni, non potrà più avvalersi delle agevolazioni fiscali previste in favore delle associazioni ( in virtù dell' equiparazione prevista dal primo comma dell' art.90 della legge 289/02) e, pertanto rimarrà un ente commerciale ( essendo a tal fine irrilevante l' eventuale  clausola di non lucratività) soggetto alla disciplina generale del reddito di impresa e dell'imposta sul valore aggiunto. Ovviamente perderà ogni diritto a riconoscere per tutti i collaboratori i compensi di cui all' art. 67 primo comma lett. M del Tuir.

Analizziamo, invece, quali potrebbero essere le conseguenze per una società sportiva di capitali che pratichi sia attività comprese che non. Diciamo subito che sicuramente perde, essendo l' impianto non più destinato esclusivamente ad attività sportiva, la possibilità di agevolazioni ai fini IMU e Tasi (ammesso che prima ne godesse). Analogamente perde la possibilità, per le attività non più sportive, della defiscalizzazione delle quote di frequenza e,ovviamente, non potranno più riconoscere compensi sportivi agli sportivi agli istruttori per quelle attività oggi escluse.

La realtà potrebbe però essere più complessa. E' infatti frequente, soprattutto nelle palestre c.d. Di cultura fisica gestite da società di capitali sportive, la prassi “commerciale” di far sottoscrivere abbonamenti a tempo che consentono di partecipare a tutte le attività svolte dalle società sportive, sia quelle che alla luce della delibera Coni rimangono tali che quelle che non ne sono state ricomprese. 

In questo caso il timore è che la commercialità delle attività non più ricomprese “necessariamente” attragga a sé anche le attività che astrattamente, essendo rimaste sportive, consentirebbero ancora di poter godere della agevolazione fiscale. Dunque l' intero costo dell' abbonamento, ricomprendendo sia attività sportive sia non, risulterebbe a tratto nel reddito d' impresa, essendo a questo punto irrilevante la circostanza che l' iscritto sia un tesserato alla Federazione o all' ente di promozione sportiva. Ne deriva che, dopo aver per anni suggerito di preferire la costituzione in società di capitale, piuttosto che in associazione, in determinati casi potrebbe valere la pena tornare alle scelte iniziali.

LA RIFORMA DEL TERZO SETTORE

Nel Consiglio dei Ministri indicato in premessa sono stati approvati i testi relativi al terzo settore, alla disciplina dell' impresa sociale e quello sul cinque per mille. I decreti, ora, saranno a disposizione delle commissioni parlamentari competenti sia alla Camera sia al Senato, oltre che alla Conferenza Stato Regione, per i pareri del caso. Il provvedimento tornerà infine in Consiglio dei Ministri per l' approvazione definitiva. Tempistica: orientativamente tra la fine di giugno e l'inizio di luglio, cioè nel giro di 45 giorni dal primo via libera.

Non vi è dubbio che si sia trattato di una riforma profonda e radicale, che contiene sicuramente spunti d' interesse, ma che si caratterizza, forse, più per quello che non dice che per quello che disciplina. Ciò porterà,con ogni probabilità, viste anche le prime reazioni degli stakeholder interessati, a modifiche non secondarie nell' iter definitivo di approvazione. Pertanto ci riserviamo un intervento più meditato nel prossimo articolo, a provvedimento approvato in via definitiva. La considerazione più rilevante è che appare venuto meno quello che sembrava essere uno dei capisaldi della riforma, ossia il ricondurre a una unitarietà di disciplina tutto il mondo del non profit.

Infatti l'articolo 4 co. 1 del codice in esame riporta che:

“sono enti del terzo settore le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di mutuo concorso, ed ogni altro ente costituito in forma di associazione, riconosciuta e non riconosciuta, o di fondazione per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento di una o più attività di interesse generale in forma volontaria e di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, ed iscritto nel registro unico nazionale del terzo settore”. 

In questo quadro di riferimento emerge che nella descrizione sopra riportata degli enti del terzo settore non compaiono le associazioni e società sportive dilettantistiche. Se a queste aggiungessimo che non appare abrogata la disciplina specifica di settore per lo sport (L' articolo 90 della legge 286/02, la legge 398/91 e l'articolo 67 primo comma lett.m del Tuir) la conseguenza sembrerebbe essere che si sia voluto mantenere, per le sportive, l' attuale regime di favore senza coinvolgerle tra gli enti del terzo settore. Tale assunto appare confermato dalla lettura del titolo sesto, art.45 e seguenti del codice, laddove si disciplina il nuovo registro unico nazionale del terzo settore. Anche in questo non viene fatto alcun accenno specifico alle associazioni e società sportive. 

Non sembra smentire questo il contenuto del successivo art.5 comma 1 che riporta:

“ gli enti del terzo settore esercitano in via esclusiva o principale una o più attività di interesse generale per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale. Si considerano di interesse generale, se svolte in conformità alle norme particolari che ne disciplinano l' esercizio, le attività aventi ad oggetto:

organizzazione e gestione di attività sportive dilettantistiche.

Si ritiene che il riferimento sia per quelle sportive che sono anche associazioni di promozione sociale e che come tali potranno continuare ad essere iscritte sia al registro Coni sia al nuovo registro del terzo settore. Va detto che tale scelta appare, a riforma a regime, molto meno appagante alla luce degli stringenti obblighi statutari, di trasparenza amministrativa e di controllo che il nuovo codice assegna alle associazioni di promozione sociale.

Ad analoga considerazione si giunge anche esaminando il testo sull'impresa sociale.

Viene infatti previsto, all' art. 1 del nuovo testo, che abroga espressamente il precedente decreto 155/06, che:

“ Possono acquisire la qualifica di impresa sociale tutte le organizzazioni private, incluse quelle costituite nelle forme di cui al libro V  del codice civile che, in conformità alle disposizioni del presente decreto, esercitano in via stabile e principale un' attività d' impresa di interesse generale, senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale adottando modalità di gestione responsabili e trasparenti e favorendo il più ampio coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti e di altri soggetti interessati alle loro attività...”

Se è pur vero che il successivo art. 2 afferma che “ L' impresa sociale esercita in via stabile e principale una o più attività di impresa di interesse generale per il perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale. Ai fini del presente decreto si considerano di interesse generale se svolte in conformità alle norme particolari che ne disciplinano l' esercizio, le attività di impresa avanti ad oggetto: … Organizzazione e gestione di attività sportive dilettantistiche”, l' utilizzo del termine “possono” fa sì che anche le nostre società sportive dilettantistiche diventeranno imprese sociali solo se ed in quanto lo ritengano loro conveniente. Va detto che, ad oggi, sulla base degli attuali testi, questa convenienza non si rinviene.

Va infine ricordato, invece, che il decreto sul cinque per mille espressamente riporta tra i soggetti destinatari della opzione le “associazioni sportive dilettantistiche, riconosciute ai fini sportivi dal comitato olimpico nazionale italiano a norma di legge che svolgono una rilevante attività di interesse sociale”. Confermato che le società sportive di capitali continuino ad essere escluse da tale possibilità.

Pertanto, al momento possiamo solo dire che lo sport potrà rimanere estraneo alla riforma del terzo settore e che questo, per come si presenta oggi, non appare essere un gran male.

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