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ACIDO LATTICO

L’acido lattico è un composto chimico il cui nome esteso è acido 2-idrossipropanoico, dalla formula C3H6O3.

L’acido lattico riveste un ruolo importante in molti processi biochimici, tra i quali quelli coinvolti nello sforzo muscolare. Viene prodotto nei muscoli durante la degradazione anaerobica (cioè in assenza di ossigeno) del glucosio.

Quando si parla di acido lattico è inevitabile parlare di lattato; molto spesso acido lattico e lattato vengono considerati come sinonimi; in realtà il lattato è una sostanza che si differenzia dall’acido lattico in quanto è priva di uno ione H+.

Esistono tre forme di acido lattico: D-lattico (forma destrogira), L-lattico (forma levogira) e D-L-lattico (il racemo). Tutte queste forme possono formare sali con numerosi metalli.

La forma destrogira dell’acido lattico può essere ottenuta attraverso la risoluzione del racemo presente in natura oppure biotecnologicamente a partire dal glucosio grazie all’azione di un batterio appartenente alla famiglia delle Lactobacillacee, il Lactobacillus leichmannii.

La forma levogira dell’acido lattico è invece presente, seppure in minime quantità, nel sangue, nei fluidi muscolari, nel fegato, nei reni ecc.

Il racemo è invece presente nel latte; in molti altri alimenti la sua produzione è dovuta all’azione dei fermenti lattici (vedasi per esempio birra, succhi di frutta, vino ecc.).

Come accennato in precedenza, l’acido lattico è il prodotto finale della cosiddetta glicolisi anaerobica, così chiamata perché avviene senza la partecipazione dell’ossigeno. La glicolisi anaerobica consente la produzione di ATP nei tessuti che sono privi di mitocondri (per esempio gli eritrociti o globuli rossi, che dir si voglia) e nelle cellule in cui l’apporto di ossigeno non è sufficiente.

La produzione di acido lattico avviene attraverso la riduzione dell’acido piruvico da parte del NADH, coenzima della LDH (latticodeidrogenasi); discrete quantità di acido lattico si formano in presenza di uno sforzo muscolare intenso e prolungato; esso si accumula nei muscoli e di qui si diffonde nel torrente ematico; da qui viene rimosso dal fegato che lo riconverte in glicogeno (gluconeogenesi).

L’acido lattico viene utilizzato in diversi processi di tipo industriale (bagni di colorazione, solvente per coloranti non solubili in acqua, preparazione di prodotti caseari, trattamento di lieviti, trattamento  del pellame, operazioni di plastificazione ecc.).

In medicina viene utilizzato in qualità di sostanza antisettica e antifermentativa.

Acido lattico e prestazione sportiva

Non è infrequente parlare di acido lattico in relazione a determinate prestazioni sportive; molto spesso però non si hanno idee chiare a questo proposito. Scopo di questo paragrafo è quindi quello di fissare alcuni dati numerici che sfuggono alla maggior parte degli sportivi che si allenano da soli.

1) In un soggetto non allenato la concentrazione di lattato (lo ione derivante dalla scissione dell’acido lattico in ioni idrogeno e in lattato) s’impenna al 50% del massimo consumo di ossigeno, mentre in un soggetto molto allenato ciò accade al 75% del massimo consumo di ossigeno.

Prima conseguenza –  Usare solo il massimo consumo di ossigeno (magari desunto in modo approssimativo da un cardiofrequenzimetro) come base dell’allenamento è scorretto. Infatti, fissata una percentuale cui allenarsi (per esempio un fondo medio al 70% del massimo consumo di ossigeno), questa sarà eccessiva per il soggetto principiante, mentre sarà troppo blanda per l’atleta già navigato.

Seconda conseguenza – Nella corsa di resistenza scopo dell’allenamento è anche aumentare la frazione del massimo consumo di ossigeno alla quale inizia l’impennata della concentrazione dell’acido lattico. Per farlo è necessario migliorare le caratteristiche aerobiche dell’atleta, favorendo anche la conversione di fibre veloci in fibre lente.

2) La massima concentrazione di lattato nel sangue si ha per sforzi massimali di 1′-3′; nella corsa teoricamente si può assumere che la concentrazione sia massima al temine di una gara di 800 m.

I seguenti dati (dovuti a studi diversi di Lacour, Kindermann e Keul) si riferiscono alla concentrazione al termine di diverse gare (ricordiamo che teoricamente durante la maratona la concentrazione del lattato è di 2 mmol/l):

Concentrazione lattato

Gara Lattato (in mmol/l)

800 m 25,5

1500 m 22,5

5000 m 14

10000 m 8

Conseguenza – I dati riportati si riferiscono ad atleti top; chi ha prestazioni decisamente più umane arriva al termine di una gara di 800 m con concentrazione di lattato molto più bassa. La stessa cosa non si verifica per i 10000 m. La capacità lattacida sembra quindi essere un collo di bottiglia assoluto per gli 800-1500 m, nel senso che un suo miglioramento farebbe migliorare comunque l’atleta, a prescindere dalle altre condizioni.

3) In un soggetto non allenato la massima concentrazione di lattato è del 30% inferiore rispetto a quella di un soggetto allenato.

Conseguenza – Chi non esegue mai prove lattacide (per esempio il maratoneta classico), può migliorare significativamente sulle distanze fino ai 10000 m inserendole una volta alla settimana. Se un maratoneta decide estemporaneamente di preparare una gara sui 5000 m, può dirottare i suoi allenamenti sul miglioramento delle capacità anaerobiche, optando per ripetute brevi (tipo 10×400 con 1′ di recupero) anziché per ripetute lunghe (tipo 4×2000 m con 3′ di recupero) dove la concentrazione di lattato resta comunque bassa.

4) Il tempo di semipagamento del lattato è di circa 15′. Ciò significa che dopo 15′ la concentrazione di lattato si è ridotta della metà e così via ogni quarto d’ora fino al ritorno a livelli basali. In un soggetto allenato tale tempo è di 8′-10′.

Prima conseguenza – I recuperi in un soggetto non allenato (principiante o atleta che riprende dopo uno stop) devono essere doppi rispetto a quelli di un soggetto allenato.

Seconda conseguenza – Le prove di sintesi devono avere recuperi decisamente ampi proprio perché l’atleta deve correre avendo recuperato gran parte dello sforzo lattacido. Si noti la differenza con ripetute brevi con poco recupero (per esempio 1′). Le ripetute brevi con scarso recupero servono per abituare l’organismo a concentrazioni sempre più elevate, mentre le prove di sintesi servono per cercare la velocità massima data una determinata concentrazione: non a caso sono inserite al termine della preparazione quando si dà per scontato che non si possa ulteriormente migliorare l’adattamento lattacido.

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