ALLENAMENTO

SQUAT: COME SI ESEGUE E POSSIBILI RISCHI

Lo squat – in italiano sarebbe "accosciata" – è senza dubbio uno degli esercizi più importanti dell'intero universo sport, fitness e culturismo.

Nell'allenamento della forza – anche funzionale – e dell'ipertrofia delle cosce e dei glutei, il suo alto valore è forse l'unico punto di accordo collettivo.

ATTENZIONE! Ciò non significa che non sia possibile allenare le cosce e i glutei senza lo squat! Ma semplicemente che è un'esecuzione di grande efficacia. Esistono condizioni fisiche che impongono tassativamente di evitarlo, ma non per questo diventerebbe impossibile allenare gli arti inferiori.

Come deadlift o stacco da terra, bench press o distensioni su panca, pull-up o trazioni alla sbarra, lo squat è un vero e proprio gesto atletico – riferendosi ad altre discipline potremmo menzionare anche: snatch, clean, jerk, muscle up, front lever ecc.

Faremo una breve descrizione del back squat, il più diffuso e praticato in generale.

Nota: volendo essere "pignoli" – anche se, in realtà, trattasi più precisamente di accuratezza – prima di approcciarsi allo squat sarebbe necessario eseguire un breve percorso di educazione al movimento, con l'opportuna presenza di un istruttore. 

Tutte le indicazioni necessarie – tipo di calzatura (senza rialzo nel tallone), apertura e posizione dei piedi, ritmo respiratorio e stabilità del core, sensazione di appoggio plantare completo, sostegno lombare, avanzamento delle ginocchia ecc, creeranno le basi per potere eseguire uno squat più corretto possibile con l'uso di sovraccarico.

Come si fa il back squat?

In qualsiasi tipo di squat, il carico dev'essere sempre percepito – in discesa e in salita – al centro del piede; mai sull'avampiede e mai sul tallone. La pianta, inoltre, non deve mai staccarsi dal pavimento.

Le ginocchia non cederanno mai al valgismo o al varismo, e non oltrepasseranno eccessivamente la punta dei piedi in avanti – su quest'aspetto incide molto la divaricata dei piedi.

Il back squat è il più conosciuto della categoria. Prevede l'uso di un sovraccarico costituito dal bilanciere, da posizionare dietro le spalle (sul muscolo trapezio), circa sulla spina scapolare, con apertura delle mani (impugnatura prona) a circa 25-30 cm più esterne del deltoide e avambracci perpendicolari al pavimento. 

L'altezza del bilanciere rispetto alle spalle è importante; l'ideale sarebbe all'altezza di C7, ma appoggiato sulla spina scapolare. Già all'altezza del deltoide posteriore, che comunque richiede una certa mobilità di spalle e scapole, il busto tende ad inclinarsi in avanti (tipico del powerlifting), caricando maggiormente sui glutei e sui lombari e minormente sui quadricipiti. 

Ciò dovrebbe ridurre anche il carico sul legamento crociato anteriore e la compressione patello-femorale.

Esercitando una trazione del bilanciere sul trapezio, si facilita la verticalità della colonna vertebrale.

Al momento dello stacco del bilanciere dal power rack, o dai supporti dedicati, i piedi sono uniti; si faranno poi due passi indietro, avendo cura di rimanere nell'area di sicurezza della struttura, per divaricarli e iniziare l'esecuzione.

La posizione è eretta, con i piedi distanziati in maniera variabile: da poco più della larghezza del bacino a quella delle spalle, con le punte direzionate leggermente verso l'esterno (se fossero le lancette di un orologio, indicherebbero tra le 10:10 e le 11:05 per intenderci).

Inspirando profondamente (trattenendo poi fino al termine della spinta), si va ad espandere la cassa toracica ma soprattutto ad abbassare il diaframma mantenendo il controllo della cintura addominale (il che permette di stabilizzare il core, necessario all'ottimizzazione del movimento). 

Spalle e scapole sono leggermente addotte (petto in fuori). Il bacino ruota in avanti (iperestendendo leggermente), in modo da attivare lombari e glutei.

La testa e lo sguardo saranno sempre posizionati verso l'orizzonte.

Inizia quindi la discesa, flettendo le tre articolazioni (coxo-femorale, ginocchio e tibiotarsica). 

Man mano che si scende in profondità, il busto potrebbe tendere ad inclinarsi un po' in avanti per consentire ai lombari e ai glutei di contribuire maggiormente allo sforzo; la pertinenza o meno di questo atteggiamento, se lieve, è comunque oggetto di dibattito. 

Le ginocchia non oltrepasseranno in avanti di molto la punta dei piedi, mentre la loro proiezione laterale supera la larghezza delle spalle.

Qui, lo squat può classificarsi in 3 tipologie a seconda di quanto si scende: parziale (sopra il parallelo), mezzo (in parallelo) e completo (in buca).

Raggiunta la famosa "buca" – ovvero il punto di massima accosciata – senza sfruttare il rimbalzo balistico e senza appoggiarsi sulle articolazioni, inizia la spinta di risalita. 

Il movimento è lo stesso della discesa, ma eseguito all'inverso. 

Si consiglia di fare molta attenzione a non eccedere con l'iperestensione lombare e cervicale (errore tipico del sesso femminile), di non cedere in cifosi (curvare in avanti la parte alta della schiena) e di non "schienare" – coinvolgere malamente ed eccessivamente la bassa della schiena, portando il sedere in alto ma lasciando la schiena alla stessa altezza, per poi tirarla su una volta assunta un'angolazione articolare meno faticosa per i quadricipiti.

Terminata la spinta, ricordiamo di non iper-estendere mai le ginocchia.

Se si manifesta una certa difficoltà nel mantenere tutti questi accorgimenti in massima accosciata, potrebbero esserci delle rigidità articolari (tipiche del sesso maschile) o limiti anatomici. 

Non si commetta quindi l'errore, nell'intento di prevenire qualsivoglia infortunio, di interrompere il movimento sul parallelo – momento in cui il femore si allinea con il pavimento, formando gli "ipotetici" 90° di angolazione della coxo-femorale (che in realtà non sono tali) – anziché di migliorare la capacità di movimento. 

Il parallelo è un momento critico del gesto di squat e perseverarvi potrebbe sortire l'effetto contrario – soprattutto riguardo le ginocchia. 

Oltre il parallelo, avviene un rilassamento dei legamenti crociati. A impedire queste evenienze stabilizzando l'articolazione partecipano gli ischio-crurali, normalmente antagonisti del quadricipite. 

D'altro canto, il quadricipite raggiunge il picco di lavoro ad un'angolazione del ginocchio di 80-90°, quindi, se l'intento dello squat è di sviluppare quest'ultimo, un mezzo squat è più che sufficiente.

Concludiamo dicendo che non esiste l'esecuzione perfetta ed uniformabile per tutti, ma senza dubbio è utile tenere in considerazione tutti i suggerimenti menzionati sopra per comprendere quale possa risultare il movimento più corretto per noi.

Altri Tipi

Parleremo solo brevemente degli altri tipi di squat, poiché senza un adeguata illustrazione sarebbe inutile entrare nei dettagli.

Free squat: o accosciata libera, consiste nel movimento senza alcun sovraccarico. Le braccia sono solitamente stese in avanti o con le mani dietro la nuca; rispetto al back squat, permette di mantenere la schiena più dritta;

Front squat: la posizione rispetto al precedente cambia perchè il bilanciere poggia sulle spalle anteriori e viene sostenuto grazie alle braccia (omeri); la schiena è più verticale, meno sollecitata meno i quadricipiti lo sono di più;

Goblet squat: è un front squat eseguito con una kettlebell tenuta al petto con entrambe le mani;

Sumo squat: cambia la posizione delle gambe, che prevedono una maggior apertura sia dei piedi che delle punte. Recluta maggiormente i muscoli adduttori;

Bulgarian squat: è uno squat monopodalico. La punta del piede che non lavora si appoggia su un box o su una panca situata dietro il corpo. Ciò consente di mantenere l'equilibrio lavorando con un solo arto;

Pistol squat: è un altro squat monopodalico, che si svolge a corpo libero o al massimo con un kettle. La gamba che non lavora è estesa in avanti; l'equilibrio è precario e le sollecitazioni sul ginocchio elevate;

Sissy squat: è un particolare tipo di squat eseguito a corpo libero. Le braccia sono tese in avanti e l'accosciata avviene sulla punta dei piedi. Il busto è dritto ma inclinato verso dietro e allineato con le cosce che invece sono direzionate in avanti; le ginocchia oltrepassano di molto i piedi;

Jump squat: è uno squat terminato da un piccolo balzo. E' sconsigliabile eseguirlo con carichi elevati.

La fatica nell’allenamento di cosce e gambe

Chi pratica il bodybuilding, weightlifting, powerlifting, sollevamento pesi e qualsiasi sport richieda di eseguire resistance training sa perfettamente quanto impegnativo possa essere l'allenamento delle gambe – anche nel callisthenics, a dire il vero, viene praticato qualche esercizio di tutt'altro che trascurabile impegno d'esecuzione.

Molti lettori si staranno già chiedendo "perché?". I "veterani della ghisa" sanno già cosa li aspetta quando "tocca alle gambe" – che poi, in realtà, trattasi prevalentemente di cosce e glutei. Molti altri invece, ignorano cosa ci sarà ad attenderli quando inizieranno ad "allenarsi sul serio".

Attenzione, non stiamo facendo delle semplici chiacchiere; il tono volutamente provocatorio di questo paragrafo nasce dal fatto che, statisticamente, solo pochi riescono a sostenere un allenamento per le gambe eseguito alla stessa intensità rispetto agli altri (pettorali, dorsali o schiena, spalle, tricipiti, bicipiti, addome).

Questo perché negli esercizi fondamentali della "parte sotto", che sono ovviamente multiarticolari, intervengono contemporaneamente:

Flessori ed estensori dell'anca e del femore;

Adduttori e abduttori del femore;

Flessori ed estensori della gamba;

Flessori ed estensori del tronco – non solo come stabilizzatori.

E quindi? E quindi, per chi non lo avesse mai considerato, anche se si è soliti differenziare la fatica locale o muscolare da quella centrale e metabolica, la seconda è una semplice conseguenza della prima.

La contrazione muscolare intensa e ripetuta richiede un maggior afflusso di sangue. Essa sfocia presto nella produzione di acido lattico, che si riversa nel sangue e – prima di essere portato al fegato – tende ad abbassare il pH innescando il sistema tampone. 

A tutto ciò conseguente l'aumento dell'attività cardio-circolatoria, ventilatoria polmonare e l'accumulo di altri residui catabolici in circolo. 

A seconda dell'entità di questo meccanismo, la fatica compromette, in maniera più o meno sostenibile, la capacità di concentrazione oltre che la "lucidità" globale. 

Avete mai pensato alla quale possa essere la capitale dell'Uzbekistan durante una corsa sopra soglia anaerobica, o durante un super-set in palestra? Tentate pure (ammesso che la conosciate).

Ipotizzando una soglia di intensità nota, sarà dunque logico che allenando una maggior quantità di fibre muscolari, pur avendo la stessa entità di stress locale, aumenterà invece la fatica metabolica e centrale. 

Per questo, costretti a farlo per ragioni di sostenibilità, in molti preferiscono conservare intensità ma diminuire la densità di lavoro, incrementando i tempi di recupero nell'allenamento di cosce e glutei rispetto al resto del corpo.

La scelta, seppur apparentemente obbligata, è opinabile. I criteri dell'allenamento per l'ipertrofia rimangono gli stessi a prescindere dalla fatica centrale. In pratica, ai tuoi muscoli non interessa quanto batta il cuore o quanto sia il "fiatone", per crescere necessitano di condizioni ben precise tra cui un elevato livello di acido lattico – stimolante l'ormone somatotropo (GH).

Non dimentichiamo poi, che la tolleranza alla fatica è una caratteristica psicologica perfettamente allenabile.

Lo squat è pericoloso?

Trattasi di un esercizio molto delicato, che "non significa necessariamente pericoloso", ma nemmeno che "non possa esserlo".

Semantica? Retorica? No. Avendo i requisiti essenziali per poterlo svolgere, lo squat va fatto; ciò impone comunque una concentrazione assoluta e alcuna fretta nella progressione tecnica oltre che dei carichi.

La maggior parte dei non appassionati reputa lo squat una sorta di "spacca-schiena buono solo per gli invasati"; ma diciamoci la verità, esistono persone che "squattano" tutta la vita con carichi importanti senza avere problemi fuori dall'ordinario e altre che "si rompono" – o credono di essersi rotte – sollevano il solo bilanciere.

Nota: ricordiamoci che indolenzimenti ed acciacchi sopraggiungono in qualsiasi sport, se viene praticato a livelli di impegno soggettivamente considerevole.

Responsabilità dell’istruttore

Spesso non è colpa di nessuno. L'istruttore gioca senza dubbio un ruolo importante, soprattutto per i più giovani, ma una grande verità è che: "solo noi abbiamo la facoltà di ascoltare il nostro corpo". 

Ciò significa che se l'istruttore non seguisse l'atleta, o ignorasse lamentele riguardanti dolore, strani formicolii o parestesie, difficoltà di equilibrio nell'esecuzione, sensazione di sovraccarico non sulle gambe ma sulla schiena, sarebbe indubbiamente in errore. 

Tuttavia, anche gli istruttori possono sbagliare, anche perché certe variabili sono completamente imprevedibili.

Importanza della soggettività nell’esecuzione

D'altro canto "non tutti possono fare tutto" – vale anche per gli altri sport e discipline.

Oggi sappiamo esistere una moltitudine di variabili che incidono indirettamente sull'infortunio, ma direttamente sulla capacità di movimento e sulla prestazione di squat – e degli altri esercizi di forza, ovviamente.

Mobilità articolare e rischio di infortunio

La mobilità articolare, in tal caso della coxo-femorale e della tibio-tarsica, è forse la componente più importante. Il ginocchio non ha, in genere, questo problema di mobilità ma, dal canto suo, presenta uno stress meccanico di compressione (soprattutto a carico dei menischi e delle cartilagini) e di slittamento (che interessano soprattutto i legamenti crociati) – dovuto alle cosiddette forze di taglio. 

Alcune condizioni soggettive possono determinare instabilità, un dettaglio di cui bisogna tenere assolutamente conto.

Sulla mobilità articolare si può lavorare molto, anche con buoni risultati, ma esistono precise condizioni articolari – perfettamente fisiologiche – che impongono un limite ben preciso. Studi volti su larga scala dimostrano un'estrema variabilità; la coxo-femorale dei vari ceppi etnici, ad esempio, sembra differire in maniera a dir poco essenziale.

Lo abbiamo detto sopra, molti considerano lo squat una sorta di "maledizione" per la schiena… ma cosa c'entrano le articolazioni degli arti inferiori con la schiena? Beh, in realtà moltissimo.

Durante l'accosciata, soprattutto avvicinandosi al cosiddetto "parallelo" riducendo l'escursione di movimento delle anche, la spina dorsale è costretta a flettersi, perdendo il sostegno di postura.

Oltrepassando il parallelo invece, un'eccessiva rigidità dell'articolazione tibio-tarsica non consente di flettere la caviglia "scendendo col sedere a terra"; ciò determina una maggiore difficoltà di equilibrio – guarda caso mal compensata dalla schiena – e un limite considerevole anche per chi squatta a fini estetici – perché è in profondità che il grande gluteo lavora di più.

Infortuni più frequenti nello squat

Paradossalmente però, statisticamente gli infortuni dovuti allo squat sono per lo più alla schiena e non troppo gravi. 

Parliamo di affaticamento e contratture (soprattutto ai muscoli profondi), che si manifestano soprattutto "schienando" o comunque perdendo il sostegno della parte alta. Come abbiamo visto sopra infatti, la maggior parte dei limiti articolari, ma anche un carico impossibile da sollevare correttamente, si ripercuotono sulla posizione del rachide.

È vero che l'ernia del disco può aggravarsi in seguito ad una mal esecuzione di squat, ma in genere le eventuali complicazioni di questa lesione si esacerbano già con carichi moderati. 

Parliamo di aggravamento e non di insorgenza perché l'erniazione del midollo cartilagineo dei dischi intervertebrali ha, in realtà, un'incidenza elevatissima sulla popolazione generale – anche se la maggior parte dei casi rimane non diagnosticata o viene casualmente scoperta in seguito a lombalgia non correlata.

Per farla breve, è molto probabile che una già esistente protrusione direzionata verso i segmenti nervosi – ma asintomatica – possa aggravarsi con l'esecuzione sbagliata di squat. Talvolta, anche con un'esecuzione corretta; la fortuna è cieca ma la sfortuna ci vede benissimo.

Un altro gruppo di infortuni abbastanza frequenti è quello legato alle ginocchia. Compressione e forze di taglio possono essere fastidiosi per i menischi, le cartilagini, i legamenti crociati e anche il tendine rotuleo. 

Queste strutture, nella maggior parte dei casi, si vanno ad infiammare rendendo impossibile l'esecuzione di squat. 

La divaricazione dei piedi, la loro angolazione in apertura e la posizione delle ginocchia rispetto ai piedi al momento della discesa influiscono pesantemente su questo genere di complicazioni; parliamo però di soggetti già avanzati, che allenano lo squat in forza diverse volte a settimana. 

Certo, errori madornali o difetti soggettivi possono sfociare, con carichi considerevoli, nell'infortunio acuto grave (rottura o schiacciamento), ma si tratta comunque di un'eventualità piuttosto rara.

L'errore più comune ad indurre l'infortunio delle ginocchia è probabilmente il rimbalzo balistico in profondità.

Per ciò che riguarda contratture, stiramenti e strappi ai quadricipiti, glutei, flessori, adduttori e gli altri abduttori, un buon riscaldamento generale e specifico, associato a una buona attivazione, possono prevenire ragionevolmente ogni evento infausto.

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