ALLENAMENTO
METODOLOGIA DELLO STRETCHING: UNA VISIONE CRITICA COSTRUTTIVA
Analisi scientifica delle applicazioni pratiche e dei vantaggi dello stretching in ambito sportivo
Lo stretching è da sempre oggetto di possibili polemiche e divergenze interpretative, ma in ogni caso resta una delle metodologie di allenamento maggiormente adottate in ambito sportivo e quindi anche nel Fitness.
Da sempre ci si domanda quali siano le ragioni che inducono ad un utilizzo costante dello stretching e quali siano i vantaggi pratici ricavabili dallo stesso.
Per dare una visione critica supportata da studi scientifici analizzeremo i quattro campi di maggior possibile intervento dello stretching, partendo dal riscaldamento e la prevenzione degli infortuni muscolari, per terminare con l’influenza sulla prestazione e la possibilità di diminuire il dolore muscolare tardivo (DOMS: Delayed Onset Muscle Soreness).
1. Lo stretching e la fase di riscaldamento
È riconosciuto che la temperatura ideale alla quale il muscolo ottimizza le proprie caratteristiche visco-elastiche, è all’incirca di 39° C; a questa temperatura diminuisce infatti la viscosità dei tessuti, migliora l’elasticità dei tendini, si aumenta la velocità di conduzione nervosa e si modifica positivamente l’attività enzimatica, inoltre l’innalzamento della temperatura muscolare costituisce un’efficace misura preventiva nei confronti degli infortuni riducendo i rischi di stiramento o strappo muscolare.
Lo stretching è largamente utilizzato nell’ambito del riscaldamento, essenzialmente nella sua forma dinamica, tuttavia secondo alcuni Autori, la sua possibile efficacia nel provocare un innalzamento della temperatura del muscolo, sarebbe molto discutibile (Bisciotti G.N.
Il corpo in movimento. Edizioni Corrrere. Milano, 2003), tanto che alcuni studi dimostrerebbero addirittura un suo effetto negativo in questo senso (Alter M.J. Science of flexibility. Ed Human Kinetics. Champaign Ill., 1996).
In effetti, in ultima analisi, è importante valutare che il tipo d’azione muscolare che ritroviamo nel corso dello stretching è praticamente sovrapponibile a ciò che avviene in una contrazione eccentrica (Freiwald J., Engelhardt M., Jager M, Gnewuch A., Reuter I., Wiemann K., Starischka S. Stretching do current explanatory models suffice? Sportverletz Sportschaden).
Dato che nel corso di una fase eccentrica, la vascolarizzazione muscolare viene interrotta ed il lavoro svolto diviene in tal modo di tipo anaerobico, determinando un aumento dell’acidosi, oltre ad una marcata anossia cellulare, è facilmente comprensibile come lo stretching non possa essere utilizzato come mezzo esclusivo sul quale basare il riscaldamento pre-gara e/o pre-allenamento, in quanto sembrerebbe sicuramente insufficiente e scorretto.
Tuttavia, integrare razionalmente lo stretching in uno schema di riscaldamento basato soprattutto su altri tipi d’esercitazione, maggiormente efficaci nel far aumentare la temperatura interna del muscolo, come un’idonea alternanza di contrazioni e rilassamenti, è sicuramente la scelta più corretta.
Questo concetto non fa altro quindi che avvalorare come scelta più idonea quella di uno stretching dinamico controllato che nel rispetto del proprio ROM articolare alterna appunto una contrazione e una decontrazione in induzione successiva dei gruppi muscolari che si desidera preparare all’attività centrale dell’allenamento.
2. Lo stretching e la prevenzione degli infortuni
Trattando l’argomento infortuni, risulta dagli studi di molti autori (Cuillo J.V, Zarins B., Garret W.E., Roy R.R., Hutchinson D.J., Pierotti J.A., Hodgson J.A., Edgerton V.R., Stauber W.T.) che il meccanismo maggiormente correlato al possibile danneggiamento della fibra muscolare,
risulterebbe essere la contrazione di tipo eccentrico; la ragione è con ogni probabilità imputabile alla maggior produzione di forza registrabile nel corso di quest’ultima, rispetto a quanto non avvenga nella modalità di attivazione di tipo concentrico od isometrico.
Infatti durante una contrazione eccentrica, effettuata alla velocità di 90° s-1, la forza espressa dal distretto muscolare risulta essere di ben tre volte maggiore di quella espressa, alla stessa velocità, durante una contrazione concentrica.
Inoltre, durante una contrazione eccentrica, risulta maggiore anche la forza prodotta dagli elementi passivi del tessuto connettivo del muscolo sottoposto ad allungamento.
Proprio in riferimento a questo dato, anche il fenomeno puramente meccanico dell’elongazione può giocare un ruolo importante nell’insorgenza dell’evento traumatico; infatti quest’ultimo può verificarsi, sia in un muscolo che si presenti attivo durante la fase di stiramento, come in un distretto muscolare che sia passivo durante la fase di allungamento.
Durante la contrazione eccentrica il muscolo è in effetti sottoposto ad un fenomeno di “overstretching” che può determinare l’insorgenza di lesioni a livello dell’inserzione tendinea, della giunzione muscolo-tendinea, oppure a livello di una zona muscolare resa maggiormente fragile da un deficit di vascolarizzazione.
Un dato interessante riguarda l’allungamento di muscoli biarticolari: si tratta di gruppi muscolari maggiormente esposti ad attacchi traumatici, proprio perché devono controllare, attraverso la contrazione eccentrica, il range articolare di due o più articolazioni (Friden J., Lieber R.L. Structural and mechanical basis of the exercise-induced muscle injury. Med. Sci. Sports Exerc).
Un ulteriore dato importante che presenta una differente incidenza di evento traumatico riguarda la diversa tipologia delle fibre muscolari. Approfondiamone le caratteristiche.
Le fibre di tipo FT, sono infatti maggiormente esposte a danni strutturali rispetto alle ST, probabilmente a causa della loro maggior capacità contrattile, che si traduce in un’accresciuta produzione di forza e di velocità di contrazione, rispetto alle fibre di tipo ST (Brewer B.J., Lexell J., Henriksson-Larsen K., Sjostrom M.).
Inoltre i muscoli che presentano un’alta percentuale di FT, sono generalmente più superficiali e normalmente interessano due o più articolazioni, fattori che, come già anticipato, sono entrambi predisponenti al danno strutturale.
E ancora è interessante notare come il rischio di trauma sia prevalentemente localizzato a livello della giunzione muscolo-tendinea, a testimonianza del fatto che in questa zona, come del resto nella porzione finale della fibra muscolare, si verifichi il maggior stress meccanico.
Per tutta questa serie di motivi lo stretching è stato sempre considerato come la miglior forma di prevenzione nei confronti dei danni muscolari.
Nella criticità dell’argomento tuttavia c’è sempre un però, e per questo recentemente diversi Autori, a seguito di protocolli di studio specifici effettuati su campionature cospicue, non hanno
rilevato alcun beneficio, derivante da una pratica assidua e regolare dello stretching , nei riguardi della prevenzione dei danni all’UMT (Pope R.P., Herbert R.D., Kirwan J.D. Effects of ankle dorsiflexion range and pre-exercise calf muscle stretching on ijury risk in Army recruits. Aust J Physiother).
Una possibile spiegazione di questa mancanza di correlazione tra capacità di allungamento del muscolo e diminuzione degli incidenti muscolari, potrebbe risiedere nel fatto che in effetti lo stretching provoca una sorta di effetto antalgico, che va sotto il nome di “stretch-tolerance”, nei confronti dell’allungamento stesso.
Tradotto in parole semplici ciò significa che la pratica dello stretching indurrebbe una diminuzione della sensazione dolorosa provocata dall’allungamento, data da un aumento della soglia dei nocirecettori, permettendo in tal modo all’atleta di sopportare allungamenti muscolari di maggiore entità, situazione che potrebbe anche paradossalmente aumentare il rischio di traumi muscolari.
Sempre per ciò che concerne l’effetto di “stretch-tolerance”, è interessante notare che alcune tecniche di allungamento , come ad esempio lo “stretch and spray” (Wiemann K., Klee A. Stretching e prestazioni sportive di alto livello), trovano il loro razionale scientifico sull’effetto antalgico indotto dall’applicazione del freddo e dalla conseguente maggior tolleranza dell’atleta nei confronti dell’allungamento.
La conclusione sull’incidenza dello stretching sul rischio d’infortuni a livello muscolo-tendineo è che comunque la causa di tali eventi traumatici dipenda da molteplici fattori, tanti da rendere improbabile l’ipotesi che in questo campo la pratica dello stretching possa costituire una sorta di “panacea”, è molto più plausibile ed obiettivo considerare lo stretching come uno dei mezzi utilizzabili nell’ambito di un razionale piano rivolto alla prevenzione degli incidenti muscolari.
3. Lo stretching e la prestazione sportiva
Sono molti gli studi ritrovabili nella bibliografia degli ultimi vent’anni che documentano, in seguito ad una precedente seduta di stretching, una diminuzione della prestazione di sprint , una perdita della capacità di forza massimale e di resistenza alla forza, oppure di capacità di salto, e quindi
della possibilità da parte dell’UMT di accumulare energia elastica nel corso della fase eccentrica del movimento e di restituirla, sotto forma di lavoro meccanico, durante la fase concentrica dello stesso (Knudson D., Bennet K., Corn R., Leick D., Smith C. Acute effects of stretching are not evident in the kinematics of vertical jump. Journal Strength Conditioning Research).
Questa perdita della capacità prestativa in seguito ad un seduta di stretching, comunque intesa di una certa intensità, trova sostanzialmente tre tipi di spiegazione.
1. L’allungamento è, da un punto di vista biomeccanico, assimilabile ad una contrazione di tipo eccentrico, la cui intensità può raggiungere livelli di tipo massimale.
Per questo motivo, facendo precedere alla prestazione, una seduta di stretching particolarmente intensa, si corre sia il rischio di produrre dei danni alla struttura muscolare, in particolare a livello dei miofilamenti di titina, che d’incorrere in un fenomeno di affaticamento muscolare, in entrambi i casi la performance ne risulterebbe ovviamente perturbata.
2. Una eccessiva sollecitazione in allungamento di alcuni gruppi muscolari a discapito di altri, potrebbe costituire un fattore di perturbazione della coordinazione sia tra gruppi muscolari sinergici, che tra agonisti ed antagonisti (Alter M.J. Science of flexibility. Ed Human Kinetics. Champaign Ill.).
3. Un ultimo importante fattore è costituito dal fatto che il tendine, nel corso di un allungamento di una certa intensità e durata, attraversa una fase di riorganizzazione delle proprie fibre di collagene che vengono riorientate meno obliquamente di quanto non fossero nella precedente fase di riposo.
Questo fenomeno va sotto il nome di “creeping” e comporta una diminuzione delle capacità del tendine, nel corso di un ciclo stiramento-accorciamento, di poter accumulare e restituire energia elastica (Wydra G. Stretching ein berblick über den aktuellen Stand der Forschung. Sportwissenschaft ).
Dal momento che il tendine è il maggior interprete del fenomeno di risposta elastica, quest’ultimo fattore potrebbe assumere un ruolo determinante nella diminuzione delle capacità di salto registrabile in seguito ad una precedente intensa seduta di stretching.
4. Lo stretching e la prevenzione del “DOMS”
Il fenomeno del “Delayed Onest Muscle Soreness”, successivo ad un allenamento di tipo eccentrico ha un'origine metabolica e meccanica ben precisa, è quindi molto probabile che la pratica dello stretching non abbia un’influenza di tipo positivo sul fenomeno in questione.
Anzi, alcuni autori sostengono che una seduta di stretching particolarmente intensa provochi gli stessi danni muscolari, e quindi la stessa sensazione dolorosa, di una seduta di forza eccentrica (Wiemann K., Klee A., Johansonn P.H., Lindstrom L., Sundelin G., Lindstrom B.). Utilizzare dunque lo stretching allo scopo di diminuire la sensazione dolorosa percepita dagli atleti nell’ambito delle 24-48 ore susseguenti alla sessione di lavoro sembrerebbe quindi ingiustificato.
Le conclusioni oggettive
Alla luce delle conoscenze scientifiche qui sopra riportate è possibile sottolineare i seguenti punti:
1. Lo stretching non è il miglior mezzo sul quale basare la fase di riscaldamento pre-gara e/o pre-allenamento; in tal senso deve essere integrato in un piano di riscaldamento basato essenzialmente su esercitazioni di tipo dinamico, che si rivelano senz’altro più adatte ad ottenere un idoneo innalzamento della temperatura muscolare sino al raggiungimento dei suoi livelli ideali.
2. La quantità e l’intensità dello stretching proposto durante la fase di riscaldamento pre-gara, deve essere accuratamente gestita e dosata, al fine di non incorrere in una possibile riduzione della qualità della prestazione.
Nell’ambito di discipline sportive come alcune specialità dell’atletica leggera, la pallavolo od il basket, alcuni esercizi di stretching, andrebbero utilizzati con moderazione, e la durata dell’allungamento dovrebbe essere limitata ad un massimo di 5’’ al fine di ottenere un allungamento muscolare massimale e non incorrere in un fenomeno di contrazione riflessa del muscolo sottoposto all’elongazione.
3. Non è razionale pensare che sia sufficiente una pratica, anche se assidua e costante, dello stretching per poter prevenire in forma sistematica gli infortuni muscolari. Altresì, data l’origine multifattoriale di questi ultimi, non è giustificato poter pensare ad una completa inutilità dello stretching in questo campo.
La scelta più obiettiva e corretta sembrerebbe essere il considerare lo stretching come uno dei molteplici mezzi di prevenzione da adottare nell’ambito di una strategia preventiva di tipo integrato e sinergico.
4. L’utilizzo dello stretching nella prevenzione del fenomeno del DOMS apparirebbe ingiustificato e sostanzialmente inutile.