ALLENAMENTO
I TEMPI DI RECUPERO POST ALLENAMENTO
Il recupero è un argomento che è giocoforza trattare quando si parla di corsa. Innanzitutto proviamo a darne una definizione:
il recupero è il tempo necessario per riparare i “danni” causati dalla corsa.
Molti runner si lamentano di avere grosse difficoltà a recuperare allenamenti anche non massimali, dovendo pertanto limitare le uscite settimanali a non più di tre o quattro.
L’utilizzo di integratori è solo un tentativo il più delle volte infruttuoso che conferma lo scarso peso che essi hanno nel recupero di sportivi non professionisti; infatti c’è una differenza abissale fra il professionista e l’amatore perché nel secondo la normale alimentazione deve essere sufficiente per un pieno recupero. Se non lo è, si è di fronte a qualche anomalia della gestione del proprio organismo.
Gara e recupero
Per dare un ordine di grandezza numerico su cui basare la trattazione del recupero individuale, occorre subito dire che, a mio avviso, vale la seguente regola per un atleta ben allenato e che ha corso bene (cioè non in evidente calo nella parte finale):
una gara si recupera in km/2 giorni.
Ovviamente per gara si intende anche un allenamento di qualità tirato al 100%. Nel caso di ripetute “tirate” al massimo, quello che conta è la velocità: se per esempio si corrono 10×1000 m con recupero 1′-1’30”, la velocità è circa quella dei 5000 m, quindi il recupero è circa di 2,5 giorni.
La regola ci dice che non è consigliabile correre una mezza maratona tirata alla settimana, così come il tempo fra due maratone dovrebbe essere almeno di 21 giorni. Va da sé che la regola vale per chi è veramente ben allenato e che per chi corre, per esempio, 2-3 volte alla settimana i tempi di recupero sono sicuramente maggiori.
Recupero e processi fisiologici
Solo capendo esattamente i processi fisiologici che sono alla base del recupero dell’atleta si può ottimizzare il proprio recupero. Come vedremo, sono diverse le circostanze che creano difficoltà nel recuperare.
Cause principali – Sono presenti in ogni sforzo sportivo degno di nota.
1) Esaurimento delle scorte di glicogeno. Nell’organismo sono presenti circa 380-480 g di carboidrati, quasi tutti sotto forma di glicogeno: 350 g nei muscoli e 100 g nel fegato. Solo il 5% è rappresentato da glucosio circolante nel sangue. Quando non si hanno più a disposizione carboidrati non si riescono a bruciare nemmeno i grassi e l’organismo va in tilt. Caso tipico è il crollo del maratoneta al trentesimo chilometro (per approfondimenti su questo punto si legga l’esauriente articolo Muro del trentesimo chilometro).
2) Microtraumi fisiologici – Quando cresce l’intensità dello sforzo, la produzione di energia necessaria per onorare la richiesta produce una quantità di scorie e di alterazioni che devono in qualche modo essere eliminate e riparate. Per esempio, l’attività sportiva aumenta i livelli dei radicali liberi di un fattore che a seconda dello sforzo può andare da 6 a 30 volte.
I radicali liberi ostacolano il normale metabolismo, impedendo il ripristino delle condizioni ottimali. L’allenamento consente di accorciare i tempi di recupero e una delle finalità del proprio programma di allenamento deve essere anche quella di consentire di allenare a recuperare sempre meglio.
3) Catabolismo proteico – L’anabolismo proteico tende a ricostruire la parte muscolare che è stata spesa con lo sforzo; se l’apporto proteico della dieta è adeguato in genere non c’è nessun problema a recuperare entro l’allenamento successivo.
Contrariamente alla credenza comune, solo sforzi molto prolungati producono un significativo catabolismo muscolare (non certo quindi l’allenamento con i pesi) perché i muscoli vengono “smontati” per essere usati a fini energetici (per approfondimenti su quest’ultimo punto si consulti l’articolo Quando si bruciano i muscoli).
Cause secondarie – Sono cause che riguardano un numero limitato di atleti, ma sono abbastanza frequenti negli amatori.
4) Eccessiva dipendenza dal glucosio circolante – Esistono atleti che riescono a lavorare con dosi di glucosio molto basse (la glicemia è cioè attorno agli 80, normale, ma bassa), invece altri, che normalmente l’hanno alta, quando si abbassa molto vanno in tilt. Ovviamente la prima condizione è preferibile, ma spesso perché si consolidi occorre che l’atleta modifichi le sue abitudini alimentari, diminuendo la quantità di carboidrati normalmente assunti con la dieta (non superiore al 60%).
5) Carenza di magnesio – Mentre sodio e potassio negli individui sono sempre normali ed è inutile monitorarli (se variano di molto ci sono problemi evidenti nel soggetto), carenze di calcio e magnesio possono creare problemi in ambito solo sportivo.
La carenza di magnesio, in particolare, è correlabile con sensazioni oggettive di stanchezza; è importante che il runner assuma questo metallo non a caso, ma soltanto dopo averne verificato la carenza. A differenza del calcio, il magnesio non è depauperato in maniera diretta dalla corsa e non sarebbe corretto assumerlo comunque a scopo preventivo, come certe pubblicità invitano a fare.
6) Carenza di ferro – Una carenza di ferro può produrre un’anemia sideropenica con conseguente stanchezza. Anche in questo caso, nella maggioranza dei casi si commette il grave errore di assumere ferro senza averne prima verificato la carenza (cosa che può condurre a emocromatosi, una grave patologia che danneggia il fegato). Prima di parlare affrettatamente di anemia sportiva (in genere nei runner o nei marciatori, non nei ciclisti o altri sportivi) è necessario che sia fatta una diagnosi certa di anemia da sport.
NOTA IMPORTANTE – È fondamentale ricordare che:
il recupero non dipende dallo smaltimento dell’acido lattico.
Infatti anche senza accorgimenti particolari, alte dosi di acido lattico nel sangue si smaltiscono in poche ore. La prova più evidente è che un ottocentista (che arriva al termine della prova con notevoli concentrazioni di lattato) può gareggiare il giorno seguente con pari prestazione, mentre un maratoneta (che arriva al termine con concentrazioni di lattato molto basse) no!
Le cause di un cattivo recupero
Cerchiamo di analizzare le cause di un recupero non ottimale.
Innanzitutto è necessario verificare se l’atleta non presenta già sintomi di stanchezza a riposo, nella normale vita da sedentario. La stanchezza è un sintomo molto comune nella popolazione, non è detto che sia facile sconfiggerla perché spesso non se ne conoscono bene le cause. Si faccia riferimento all’articolo che suggerisce come sconfiggere la stanchezza.
Se invece il soggetto a riposo non presenta sintomi di stanchezza, è ovvio che si debba indagare su come fa sport. Gli errori sono diversi e ognuno potrà ricercare il suo caso personale.
A) Allenamenti troppo ravvicinati – È in relazione al punto 1 (vedasi paragrafo precedente). Se gli allenamenti sono troppo ravvicinati (o se ci si è alimentati poco e male, come chi abbina l’allenamento a una dieta dimagrante) e non si ricostituiscono le scorte di glicogeno, il recupero sarà avvertito come pessimo. Occorre notare che la velocità di ripristino del glicogeno in condizioni ottimali è di circa il 5% all’ora.
Nella corsa è opportuno che il ripristino avvenga con la normale alimentazione e non (similmente a quanto accade in altri sport come, per esempio, il ciclismo) con integratori glicidici. È errato assumere carboidrati dopo lo sforzo di un normale allenamento di media lunghezza (inferiore ai 20 km) e poi alimentarsi normalmente. Si crea solo un surplus di calorie in quanto gli integratori glicidici sono poco sazianti.
Meglio è ripristinare i carboidrati con un bonus calorico nel pasto che segue l’allenamento. Solo runner professionisti che effettuano allenamenti bigiornalieri o ciclisti con uscite superiori alle due-tre ore dovrebbero utilizzare integratori glicidici.
B) Allenamenti intensi troppo frequenti – È in relazione al punto 2. Non è possibile allenarsi con ogni seduta “tirata” al massimo. Genericamente durante una settimana solo una o due sedute possono essere massimali, nelle altre l’impegno può andare dal 50 al 90% delle proprie possibilità. Infatti quanto più ci si avvicina al 100% del proprio potenziale quanto maggiori sono i microtraumi fisiologici e il tempo di recupero si allunga.
C) Sovrappeso – Tipico di chi pensa di avere una costituzione robusta o di chi vuol fare comunque molta attività sportiva in sovrappeso. Provate a fare qualche piano di scale con 3 kg di pesi per braccio. La fatica sarà evidente. Pochi chili di sovrappeso sovraccaricano il corpo durante tutta l’attività fisica e per il resto della giornata. Un indice di massa corporea (IMC) superiore a 22 è sicuramente penalizzante perché fa spendere più energie e aumenta i microtraumi fisiologici.
Purtroppo molti atleti si superalimentano nell’errata credenza di evitare il catabolismo proteico (punto 3) o di avere energie infinite (non è possibile stoccare una quantità a piacere di glicogeno, i carboidrati assunti in più si trasformano in grasso) per ovviare a quanto riportato nel punto 1.
D) Ragioni psicologiche – Nel sito diamo un’importanza fondamentale alla psicologia del soggetto, non solo per la corsa, ma per la vita in generale. La mente va allenata. Due considerazioni importanti:
molti atleti corrono solo in condizioni ottimali, ritengono assurdo sentirsi stanchi, vorrebbero sempre sentirsi al top. In tal modo non alleneranno mai il recupero perché correranno sempre da riposati. Se si pensa che un maratoneta, anche amatore, nella preparazione della maratona, può correre al mattino 21 km e al pomeriggio altri 21, non è logico credere che nel pomeriggio sia fresco e riposato come una rosa. Correrà da stanco, ma partirà lo stesso.
Ovviamente non bisogna esagerare, ma correre da stanchi nei giorni dopo un impegno (per noi) qualitativamente elevato è normale; basta andare più piano del solito, fare un lento, tranquilli, sicuri che è comunque utile.
Altri atleti hanno cali di motivazione incredibili; è ovvio che se manca la motivazione (come spesso accade in chi fa sport controvoglia, solo perché gli hanno detto che “così si dimagrisce”) la soglia di fatica si abbassa enormemente.
E) Età – È vero che con l’età il recupero diminuisce, ma il motivo è semplicemente che con l’età i meccanismi di protezione vengono meno. In particolare la produzione e l’assorbimento di molti antiossidanti (come il coenzima Q10) si riducono, rendendo più esposto il fisico al problema 2 (microtraumi). Se il carico allenante è significativo si può pensare a una corretta integrazione per risolvere il problema.
La capacità di recupero: come migliorarla
il recuperoA questo punto, dopo aver analizzato i fattori che determinano il recupero fisico ed esposto gli errori che non si devono commettere, è necessario chiedersi se esistono o no strategie che permettano di migliorare le proprie doti di recupero.
Iniziamo col dire che un atleta non dovrebbe essere valutato monodimensionalmente, in base alla sola prestazione. Questa visione, infatti, è eccessivamente statica e non consente di prevedere l’evoluzione del runner. È abbastanza logico inserire in una visione multidimensionale parametri come:
il rapporto peso/altezza
l’allenamento svolto per arrivare alla prestazione considerata
la tenuta della “carrozzeria”, cioè la presenza e/o la predisposizione di infortuni
i dati clinici, in particolare quelli ematologici.
Molto gettonati, ma scientificamente di minore importanza, l’età del soggetto e la sua storia atletica.
Sicuramente un parametro molto sottostimato è la capacità di recupero dell’atleta. È incredibile come si dia per scontato che le capacità di recupero del soggetto siano più o meno le stesse per tutti gli individui.
1) Ogni atleta ha una massima capacità di recupero. È un concetto banale, ma la capacità di recupero non può essere ampliata all’infinito. Da ciò discende una considerazione abbastanza scontata: non tutti possono correre la maratona in maniera “indolore”. Infatti, potrebbe benissimo accadere che la capacità di recupero del singolo non sia sufficiente per consentire un allenamento serio per affrontare la distanza.
2) La capacità di recupero deve essere allenata. Un concetto che dovrebbe essere abbastanza chiaro, visto che si tratta di una caratteristica fisiologica. In altri termini, il nostro corpo deve essere allenato a riparare sempre più in fretta i danni causati dalla corsa.
Purtroppo molti runner che si allenano 3 o al massimo 4 volte alla settimana lo fanno perché preferiscono correre sempre da riposati. In tal modo non riescono a migliorare le loro capacità di recupero e restano molto lontani dalla loro reale potenzialità. Per esempio, correre un fondo lento da stanchi a ritmi blandi aiuta comunque ad allenare le capacità di recupero.
Recupero e sovrallenamento – Troppo spesso una scarsa capacità di recupero porta a concludere affrettatamente che il runner è sovrallenato. In realtà il sovrallenamento è un fenomeno clinico molto chiaro, mentre la fatica da mancato recupero è un fenomeno decisamente transitorio e non preoccupante: bastano pochi giorni di riposo perché tutto torni normale.
Ovviamente se il runner non ha presente questa situazione e continua a correre in maniera qualitativamente o quantitativamente superiore a quanto gli permetta la sua capacità di recupero correrà sempre da stanco e sembrerà sovrallenato: dolori muscolari, stanchezza, prestazioni mediocri ecc.
Come si allena il recupero? È ovvio che un atleta in piena attività che si allena bene da mesi ha una capacità di recupero ormai consolidata. I principianti, o gli atleti che rientrano dopo un infortunio, hanno spesso una capacità di recupero decisamente scadente ed è quindi il caso di migliorarla. Sperare che migliori da sé con l’allenamento non è la strategia migliore.
Infatti, ciò porta ad allungare decisamente i tempi di andata a regime perché si tende semplicemente a usare il riposo come mezzo di riparazione. La capacità di recupero andrebbe invece allenata con un piano scientifico inserito nel più generale programma di allenamento. Alla base di tale piano devono esserci le risposte alle cause che limitano il recupero:
Numero di sedute settimanali commisurato alle proprie capacità. Se con 5 sedute il recupero è pessimo, si inizi con 3, poi si passi a 4 ecc.
Limitazione delle sedute di qualità. Non dare ogni volta il massimo, ma inserire la o le due sedute di qualità in un programma che preveda anche allenamenti di mantenimento.
Limitazione del sovrappeso e corretta gestione dell’alimentazione. Ogni sportivo dovrebbe sapere cosa e quanto mangiare.
Allenamento della mente. Ovviamente le capacità di recupero del runner sono anche legate alla psicologia del soggetto. Chi in allenamento è solito risparmiarsi molto avrà apparenti ottime capacità di recupero, salvo poi avere periodi difficili le uniche volte che si impegnerà al massimo. Viceversa chi ha una grande determinazione potrà palesare grandi doti di recupero, salvo poi crollare quando il cumulo di fatica diventerà insostenibile. Nel valutare il recupero occorre pertanto non barare, né in un verso né nell’altro.
Allenamenti mirati al recupero sono quelli che, salvaguardando i limiti di qualità e di intensità, vengono svolti in condizioni di mancato recupero. Facciamo un esempio. Un runner si allena tre volte alla settimana, facendo un fondo lento di 10 km, un fondo progressivo di 12 km e una serie di ripetute sui 1000 m. A prescindere dal fatto che l’allenamento sia o no ottimale, per allenare il recupero dovrà inserire una seduta di fondo lento di massimo 12 km il giorno dopo le ripetute. Inizialmente gli sembrerà tutto molto faticoso, poi, man mano che la sua capacità di recupero aumenterà, diverrà tutto normale.
Integratori. Come detto, servono a poco e solo in determinate circostanze. Il glicogeno si ripristina utilizzando carboidrati (meglio ad alto indice glicemico per velocizzare il processo: pasta e cereali, pane, miele, marmellata ecc.), senza ricorrere a prodotti ad hoc che, a parità di costo, forniscono troppe poche calorie e costringono comunque a ricorrere alla normale alimentazione per ritornare in condizioni di equilibrio. Solo chi esegue il bigiornaliero (per non sovraccaricare troppo la digestione) può ricorrere a barrette glicidiche.
Da condannare decisamente l’abuso di integratori salini che, contrariamente alla credenza comune, sono di utilità minima nel recupero. I casi in cui l’integrazione è indicata sono indicati nelle schede antietà.
Quanto tempo? – Per il principiante non è possibile definire un tempo cui si arriva certamente alla massima capacità di recupero del soggetto. A seconda delle strategie di allenamento ci si può arrivare dopo sei mesi o dopo due o tre anni; è per questo che per il principiante l’indicazione del tempo dopo il quale si può correre una maratona è del tutto soggettiva. Per chi riprende da una sosta piuttosto lunga (almeno 60 giorni) la massima capacità di recupero si ripristina in 30-90 giorni.
Il recupero è sicuramente favorito da una corretta gestione del dopo-sforzo.
Microtraumi: azione successiva – Esistono molti metodi per cercare di lenire la fatica e recuperare prima. Alcuni (defaticamento) non sono del tutto corretti; altri sono parziali (elettrostimolazione: chi ha il tempo di defaticare con l’elettrostimolazione tutti i muscoli coinvolti nella corsa?); altri sono professionali, come il massaggio, la cui efficacia è proporzionale all’abilità di chi lo esegue (e, se fatto male, può addirittura peggiorare le cose). Si stanno diffondendo altri mezzi sicuramente molto efficaci e di semplice gestione: l’idromassaggio e l’uso di oli essenziali.
Il principio praticamente è lo stesso: stimolare la circolazione sottocutanea e con essa velocizzare il processo di ripristino. A prescindere dall’indubbio piacere psicologico di un idromassaggio o di un bagno con oli essenziali (di tipo sportivo, non estetico!) o con soluzioni saline ad hoc, i risultati sono eccellenti, paragonabili a quelli di un buon massaggio.
Goccia di cultura – Gli enzimi
Si definisce enzima un catalizzatore dei processi biologici, cioè come un fattore che velocizza le reazioni chimiche, senza intervenire sui processi che normalmente le regolano. La stragrande maggioranza degli enzimi sono proteine. L’enzima reagisce con le molecole che partecipano alla reazione formando un complesso all’interno del quale avviene la reazione. Avvenuta la reazione, il prodotto è allontanato dall’enzima, che resta disponibile per iniziarne una nuova. Durante la reazione l’enzima quindi non si consuma.